A proposito del manifesto per un nuovo corso europeo. Prospettive di un non addetto ai lavori

L’articolo che ripropongo su questa testata era apparso più di cinque anni fa – esattamente il 10 giugno 2012 – sulla rivista online laico-liberale “Il legno storto”, ora non più esistente. Il direttore della rivista, Marco Cavallotti, nonostante la sua impostazione laica, era ben disposto ad accogliere anche articoli ispirati a principi religiosi, purché non andassero oltre certi limiti. Questo spiega come gli articoli pubblicati su “Il legno storto” avessero spesso un tono moderato e prudente nel promuovere prospettive spirituali e religiose. Ma il tono del presente articolo fu determinato anche dalla situazione di allora. Infatti, nei cinque anni abbondanti trascorsi dalla sua pubblicazione, da una parte si è visto un rapido ulteriore deterioramento della scuola, della cultura, della società, della politica e della situazione delle famiglie, e dall’altra, proprio in contrapposizione a questo aggravarsi della situazione generale, è sorto un nuovo soggetto politico, rappresentato dal Popolo della Famiglia, che si propone di affrontare direttamente quei nodi basilari della società che allora erano in un certo senso presupposti, e che hanno finito per essere ignorati o negati. Rileggendo oggi quel testo, dunque, da una parte esso ci appare troppo ottimista sulla situazione culturale e morale dei popoli occidentali, mentre, dall’altra, non c’è in esso il riferimento ad una forza politica concreta che possa far propri i suggerimenti ivi espressi. Se, dunque, oggi dobbiamo registrare una situazione enormemente più deteriorata, nello stesso tempo possiamo aver fiducia che i rimedi proposti dall’articolo non rimangano pure manifestazioni di buone intenzioni, ma trovino riscontro nei programmi concreti del nuovo soggetto politico.

Il recente articolo richiamato nel titolo e gli interventi ad esso relativi mi hanno suggerito di addentrarmi, con una certa temerità, in un terreno molto pericoloso, e certamente non di mia spettanza: quello delle proposte politiche “concrete”. Mi è sembrato infatti che tra le tante cose dette mancasse qualche cosa di essenziale, e, visto che nessuno ne parlava, mi sono azzardato a farlo io stesso, anche se mi riconosco incompetente.
Vorrei dunque partire dalla seguente affermazione degli autori dell’articolo:
“La piramide Europea va rovesciata. Non più un vertice senza dimensione da cui promanano verso il basso obblighi e costrizioni, ma una vasta superficie di società libere che si poggia su strati sempre più ridotti di poteri devoluti man mano che ci si avvicina al vertice”.
E quale sarebbe il nuovo “vertice”? Se capisco bene, esso sembra un fantasma inafferrabile che andrebbe ricercato sempre più in basso. Ora, scendendo sempre più in giù nella scala dei poteri delegati, si arriva a un potere che non può essere in alcun modo delegato: il potere di ogni persona di decidere del proprio destino – e indirettamente del destino comune.
Infatti il testo parla più volte dell’importanza del fattore personale – che ovviamente viene mortificato dal verticismo -: “promuovere la competitività attraverso l’occupabilità delle persone”; “una visione positiva della persona per la sua attitudine a cooperare spontaneamente al bene comune”; “pronta ad aprire le proprie porte alle persone”; “occorre favorire in sussidiarietà le capacità mutualistiche delle persone”; “della scommessa sulle potenzialità delle persone”.
Una prospettiva verticistica non si fida delle persone, perché troppo spesso esse rispondono al ritratto dell’“uomo borghese egoista” di Marx. A sua volta una prospettiva liberale non si fida dei vertici del potere perché, mortificando l’iniziativa personale, essi troppo spesso finiscono per soffocare non solo la vita individuale, ma anche l’economia pubblica.
Ma cos’è dunque questa “persona” che sembra essere nello stesso tempo l’”homo homini lupus” e l’eroe del bene comune, l’egoista accaparratore e il generoso suscitatore di energie e di ricchezze sempre nuove? E’ veramente un mistero di cui bisognerà pure capire qualche cosa se vogliamo fare una proposta politica concreta.
Ma anziché parlarne in astratto, forse sarebbe meglio chiederci: di che tipo di persone disponiamo attualmente in Italia e in Europa? Troviamo in esse, o almeno in un numero consistente di esse, disposizioni naturali e acquisite che facciano sperare in un loro positivo impegno per il bene comune? E se queste disposizioni ci sono, come è possibile mantenerle e promuoverle? E come è possibile trasmetterle alle nuove generazioni, oggi specialmente così facilmente inclini a differenziarsi dalle generazioni adulte?
La risposta certamente non è facile. Sappiamo che negli ultimi decenni le trasformazioni dei costumi e delle attitudini sono state grandissime e rapidissime, e che anzi esse vanno trasformandosi con sempre maggiore rapidità. Quella stabilità di costumi e di abitudini morali che i filosofi classici consideravano un fattore essenziale per il bene politico dei popoli, dove e in che misura potrebbe oggi riscontrarsi? Nell’eredità culturale delle famiglie? Nelle tradizioni formative della scuola? Nell’accordo morale di massima che è a fondamento della legislazione? Nelle espressioni dell’arte, della letteratura, della musica, della cultura popolare così ampiamente diffusa dai nuovi media?
Si potrebbe rispondere che, in ogni caso, la possibilità di acquisire abilità tecniche preziose per un lavoro utile ai fini sociali è sempre più vasta, e questo potrebbe offrire ottime opportunità, anche alle nuove generazioni, di sviluppare le proprie energie umane.
Non voglio negare una parte di verità in questa osservazione, ma nell’insieme essa mi sembra fondamentalmente errata. La tecnica da sola non potrà mai orientare in modo adeguato la vita umana: essa stessa anzi ha bisogno di essere orientata da finalità che non si può dare da sola.
D’altra parte non mi sembra neanche realistico dare una risposta fondamentalmente negativa alle domande che sopra ho lasciato in sospeso. Per quanto grandi siano stati gli stravolgimenti nel costume e nella cultura degli ultimi decenni, le tradizioni familiari, scolastiche, legislative e culturali non sono affatto scomparse. Se lo fossero, veramente la situazione sarebbe tragica. Insegna infatti Aristotele – in armonia con tutta la saggezza politica antica – che compito del legislatore non è tanto quello di fare nuove leggi, quanto quello di conservare, sviluppare e trasmettere alle nuove generazioni i buoni costumi che, attraverso l’esperienza storica, si sono amalgamati con la vita del popolo. Per questo sono necessari il buon esempio degli anziani virtuosi e il rispetto verso di loro da parte dei giovani, le celebrazioni popolari, religiose e artistiche, i premi e i castighi stabiliti dal costume familiare nella vita privata e dalla legislazione nella vita pubblica, le istituzioni educative saggiamente organizzate. Per i legislatori antichi era infatti di primaria importanza l’educazione della gioventù.
Ora giustamente sono state fatte molte critiche alla scuola attuale, come anche immense sono le preoccupazioni sulla situazione, non solo economica, delle famiglie, sulla pubblica moralità e sullo smarrimento morale della gioventù. E tuttavia io penso che un consistente fondo di riserve umane e morali ancora permanga nelle popolazioni europee e nelle stesse giovani generazioni. Quello però di cui si dovrebbe prendere coscienza in una misura assai maggiore di quanto non avvenga comunemente, è l’assoluta necessità di un impegno politico prioritario rivolto a ridare forza e stabilità non solo alla scuola, ma anche alla capacità formativa della vita familiare e della vita culturale della società. Ciò viene ancor prima delle pur urgenti riforme istituzionali e finanziarie. Queste ultime infatti sarebbero inefficaci se non potessero contare su una popolazione umanamente e moralmente affidabile – e una popolazione siffatta non si può improvvisare, ma è necessariamente il risultato di un lungo percorso storico sostenuto dalla saggezza dei responsabili della vita familiare, culturale e legislativa.
A mio giudizio perciò la prima proposta politica da fare è di mettere al centro di qualsiasi programma di rinnovamento sociale la cura da parte dei responsabili della “res publica” per una sana gestione della vita familiare, per una scuola efficiente non solo sul piano intellettuale e professionale, ma anche e soprattutto sul piano morale, per un’atmosfera culturale formativa e moralmente sana nell’ambito del pubblico costume giuridico, politico, artistico, ricreativo etc. Poche parole, che però racchiudono un lavoro immenso e contro corrente in ambiti che purtroppo negli ultimi decenni sono stati totalmente trascurati dalla politica. Così ad esempio nell’ambito della vita musicale della nazione, o in quello del costume sessuale e degli incalcolabili interessi loschi che si oppongono ad una sua radicale riforma. E non credo affatto che un programma politico coraggioso in queste direzioni sarebbe mal visto, oggi, dalla maggioranza della popolazione.
Posso testimoniare che nella base della popolazione orientata a sinistra vi sono energie morali grandissime, anche se spesso, almeno fino a poco tempo fa, viziate dal pregiudizio che le tradizioni di costume, specialmente se legate al cattolicesimo, per principio vanno combattute quali espressioni di interessi di classe. Ma anche su questo punto non è sempre così, e in molti si nota oggi una tendenza contraria. A volte anzi sono proprio gli ambienti moderati a essere meno moralmente sensibili e a mantenere troppo unilateralmente il discorso sul piano strettamente economico.
Ma osserviamo intanto che l’impegno nella più intima vita personale che la tradizione umanistica in misura notevole condivide con la spiritualità religiosa e cristiana di sempre è il più forte e implacabile avversario del verticismo di oggi come del collettivismo di ieri. Certamente per questo i rappresentanti dell’uno e dell’altro hanno per principio dichiarato guerra alla religione tradizionale e alla Chiesa Cattolica in particolare. E se da una parte il disimpegno, che delega la soluzione dei problemi della società agli impersonali poteri globali, finisce per consegnare la vita personale nelle mani della propaganda commerciale e sessuale, dall’altra l’impegno spirituale, morale e anche intellettuale e professionale – e le quattro cose sono legate tra loro assai più di quanto non si creda – ha una sua dimensione universale e globale alternativa e assai più solida di quella degli interessi finanziari.
A questo punto si dirà che ancora proposte concrete non si vedono. Ciò forse non è del tutto vero, dato che dalle poche cose fin qui dette si può ben ricavare un programma che va certamente meglio definito, ma che non è poi così fumoso, sulla politica familiare, scolastica e culturale che si allontana notevolmente dalle più comuni prospettive, e anche dalla diffusa indifferenza dei più.
Bisogna poi aggiungere che ognuno ha il suo ambito di interessi e non è né giusto né conforme ad una ragionevole modestia addentrarsi in terreni riservati ai competenti. Molte cose validissime si sono dette su questa testata da personalità autorevoli della politica, della finanza, della legislazione e del diritto, ed è certamente doveroso da parte di chi non può pretendere di dialogare alla pari con loro di sottoscriverle. Quello che principalmente ho voluto mettere in chiaro, come presupposto sempre sottinteso e mai tematizzato, è che ogni migliore iniziativa politico-legislativa deve fare i conti con la qualità del materiale umano su cui intende agire, e che questa qualità non la si può definire in termini semplicemente economici, né tanto meno la si può dare per scontata.
Tuttavia anche sul piano dell’operatività economica mi permetto di fare un rilievo, che ritengo tutt’altro che astratto e “evangelico”. Il grande impegno di impresa di oggi naturalmente si rivolge alle sempre più moderne tecniche e fonti di energia. Sappiamo tutti quale ostilità questa operosità suscita nei movimenti ambientalisti, che si possono facilmente bollare di capricciosi e romantici, ma che non si possono né ignorare, né tanto meno squalificare senza appello.
A mio giudizio l’unica risposta costruttiva che una sana cultura umanistica può dare a questa diffusa e inquieta mentalità è di porre il problema dell’effetto della tecnologia, tradizionale o innovativa, non principalmente nei confronti della “natura”, ma assai più nei confronti dell’uomo.
Qui la scienza e la tecnologia, come la stessa offerta produttiva, avrebbero un enorme campo di azione, nella ricerca, portata avanti in collaborazione feconda con la medicina, le neuroscienze, la psicologia, la filosofia e le scienze religiose, di una tecnologia totalmente ripensata in funzione delle più vere esigenze della persona umana, a partire dall’età infantile. E faccio presente, tra le altre cose, che proprio sulla delicata e preziosa età infantile l’industria del consumo e del divertimento esercita una speculazione riprovevole, foriera di danni irreparabili per la civiltà, e che a tutto ciò si potrebbe porre rimedio da parte di una ricerca convergente delle discipline sopra richiamate e di una conseguente produzione qualificata per il suo impegno non solo economico, ma anche civile.

di Don Massimo Lapponi

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