I voti monastici 3

di Don Massimo Lapponi

«Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù,
il quale, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e alla morte di croce» (Fil 2, 5-8).

Nella flagellazione di Cristo abbiamo visto l’espiazione per i peccati di impurità del mondo e nella coronazione di spine l’espiazione per i peccati di avidità di possesso e di dominio. Analogamente, nella condanna a morte di Cristo possiamo vedere l’espiazione per i peccati di abuso della libertà, di orgoglio e di ribellione a Dio.

Come sempre, la nostra chiave di lettura sarà il paradosso per cui nell’obbedienza di Cristo, e nel voto religioso di obbedienza in cui essa si riflette, non vi è, in realtà, una vera rinuncia alla libertà, ma, insieme all’espiazione dell’abuso della libertà da parte dell’uomo, la manifestazione della più alta e perfetta libertà.

Un’altra chiave di lettura che vogliamo di nuovo ribadire è l’unità gerarchica che unisce i voti tra loro. Come l’abuso del possesso e del dominio, così anche l’abuso della libertà trova la sua redenzione nel ristabilimento della santità del vincolo di amore tra l’uomo e la donna. Infatti sia i peccati di avidità, sia i peccati di indebito orgoglio umano nascono dal rifiuto del fine supremo della vita umana che la donna aveva la missione di revelare all’uomo e a se stessa, cioè l’amore che doveva unire l’uomo e la donna, e la discendenza da loro generata, e la dedizione totale a Dio, che in quell’amore manifestava il suo vero volto, mentre misteriosamente prometteva di santificare le infinite generazioni umane con la nascita nel mondo del suo Figlio divino.

Una volta relegata la donna in un ruolo inferiore, di edonistica soddisfazione privata, l’uomo cadeva facilmente nell’illusione di poter realizzare se stesso attraverso il dominio sui beni creati e l’affermazione della propria orgogliosa libertà, sottratta ad ogni vincolo umano o divino.

Ma l’esempio di Cristo, fattosi «obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2, 8), suggerisce che la vera libertà passa per un’altra strada e che, dunque, la libertà dell’uomo orgoglioso è, in realtà, una libertà soltanto apparente.

Sono celebri i versi di Dante:

«Libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta»

(Purgatorio, 1, 71-72)

Meno noto è il verso con il quale Dante si rivolge a Beatrice nel Paradiso:

«Tu m’hai di servo tratto a libertate»

(Paradiso, 31, 85)

L’accostamento dei due luoghi del poema dantesco ci suggerisce per prima cosa che la vera libertà non consiste nel sottrarsi ad ogni vincolo per affermare se stessi, ma è il frutto di una profonda conversione e purificazione spirituale, e, nello stesso tempo, che in questa conquista spirituale della libertà gioca un ruolo essenziale la riacquisizione del sostanziale rapporto d’amore tra l’uomo e la donna, purificato dalla prevaricazione che lo aveva corrotto e degradato.

A questo punto qualcuno potrebbe osservare che Beatrice non era la sposa di Dante e che quindi o il rapporto d’amore tra loro è ambiguo, ovvero bisogna intendere Beatrice non come una vera donna, ma piuttosto come il simbolo della grazia, della carità, o di un’altra virtù divina.

Ma le cose non stanno così. Il matrimonio è senz’altro un’espressione nobilissima dell’amore tra l’uomo e la donna, ma non è la più alta, né quella che ne manifesta compiutamente il mistero eterno. Se la donna rappresenta, nel mondo creato, lo Spirito Santo, la sua unione d’amore con l’uomo rappresenta l’eterna comunione del Verbo con lo Spirito divino nella Trinità santissima. E come il Verbo creatore opera tutto in comunione indivisa con lo Spirito Santo, così l’uomo era chiamato ad operare nel mondo, come vicario del Verbo, in comunione indivisa con la donna. Se il peccato ha sciolto questo legame, e ha perciò corrotto l’opera dell’uomo e della donna nel mondo, la redenzione portata da Cristo ha ristabilito la comunione tra l’uomo e la donna nella santità originaria, e questo non soltanto nel matrimonio, ma anche, e in modo più sostanziale a livello meta-fisico, nel nucleo più intimo dell’essere. La mirabile fusione nucleare che ne deriva la vediamo realizzata in modo perfetto nel rapporto che unisce intimamente, in modo verginale, Maria a Cristo, come anche Maria a Giuseppe. Qui la verginità appare in tutto il suo senso positivo: essa non indica una “rinuncia”, bensì un’unione che avviene nella pienezza della verità delle persone, nella prospettiva dell’eternità. L’unicità, propria delle nozze terrene, in questa più alta dimensione si realizza diversamente: essa fa riferimento essenziale all’unicità dell’amore trinitario e del piano di salvezza per il genere umano, quale esso appare nell’uinione sponsale tra Cristo e la Chiesa. L’inviolabile fedeltà monogamica non è che il simbolo di questa superiore unicità assoluta della fonte divina dell’amore.

A questo punto possiamo comprendere, nel suo senso più profondo, il mistero della libertà e come essa si coniughi perfettamente con la virtù cristica e religiosa dell’obbedienza.

La falsa libertà dell’uomo orgoglioso cosa aveva ottenuto, se non di frammentare la vita umana in brandelli sconnessi, sempre più effimeri? Di questa dispersione delle forze dell’uomo sono simbolo eloquentissimo le tappe ineluttabili della corruzione dell’amore, dall’infedeltà coniugale allo scioglimento del vincolo sponsale, allo stesso conseguente dissolvimento dell’istituto matrimoniale e alla riduzione del rapporto tra l’uomo e la donna a mera esperienza erotica passeggera, sempre più svuotata di umanità, di continuità, e infine di identità.

La redenzione da questa frammentazione mortifera, cosa sarà, dunque, se non l’assoluta fedeltà alla vocazione amorosa di Dio, e quindi l’adesione costante e incondizionata al suo eterno piano di salvezza? Ma questo piano di salvezza è sostanziato dall’opera intimamente unitaria del Verbo e dello Spirito e, perciò, dal ristabilimento dell’unità del vincolo d’amore tra l’uomo e la donna, che di essa è un riflesso, quale vera luce e ispirazione dell’opera dell’uomo nella vita del mondo. Se questa unità d’amore si realizza in modo più visibile nel matrimonio monogamico indissolubile, essa tuttavia trova la sua più sostanziale realtà nell’amore veriginale di Cristo e di Maria e nell’amore verginale delle persone consacrate, dell’uno e dell’altro sesso. Per questo non è facoltativa, ma essenziale la presenza di Maria nel tempio accanto alla presenza eucaristica di Cristo, come è essenziale, nella Chiesa, la presenza della vita religiosa consacrata.

In questa prospettiva appare con luminosa chiarezza che l’obbedienza che scaturisce dall’impegno di fedeltà coniugale, come quella che scaturisce dal voto di obbedienza della tradizione monastica, mira a ristabilire l’unità nella vita umana, frammentata dall’abuso della libertà, e a ricondurla ad essere un cammino costante e coerente, dal principio alla fine, verso l’unica meta dell’amore eterno, che da Dio si estende, attraverso l’amore dell’uomo e della donna, in tutte le sue dimensioni, all’intero genere umano.

Abbiamo detto: dal principio alla fine. È questo un punto essenziale, sul quale purtroppo si sorvola troppo facilmente nella formazione cristiana e religiosa dell’infanzia e dell’adolescenza. La fedeltà all’unico amore divino, rappresentato e rivelato dall’amore indiviso dei nostri genitori, ci viene richiesta fin dalla nascita, ed uno dei mali più universalmente diffusi, e non da oggi, è quello di tradire gli impegni battesimali nell’adolescenza, sedotti, come siamo, dal richiamo della falsa libertà del mondo. In tal modo la frammentazione della vita umana incomincia fin dai primi anni di vita, e troppo spesso gli uomini sono costretti a ricomporre con fatica e rimpianto i detriti dispersi della loro esistenza dissipata.

Su questo argomento di fondamentale importanza rimandiamo a due testi che meriterebbero di essere meditati ogni giorno dai giovani e dai loro educatori. Il primo, per ora disponibile soltanto in inglese, è un sermone del Beato – ben presto Santo – Card. John Henry Newnan (1801-1890):

Life the Season of Repentance

L’altro è un sermone del secolo XVII, di San Claudio de la Colombière (1641-1682) – a dimostrazione che gli aspetti fondamentali della vita non cambiano mai:

San Claudio de la Colombière s. J. (1641-1682)

Il fatto che, come dimostra questo eccezionale sermone, i dati fondamentali dell’esistenza umana e i suoi difetti ricorrenti rimangono sostanzialmente invariati, non vuol dire che ai nostri giorni la precoce frammentazione della vita umana non si sia enormemente aggravata, anche per il generale abbandono della pratica religiosa e della virtù dell’obbedienza, rettamente intesa. La stessa catechesi su questo punto si mostra molto carente. Dalla presa di coscienza di questo gravissimo difetto deve scaturire, dunque, l’impegno a un sostanziale rinnovamento dell’educazione umana e cristiana dell’infanzia e della gioventù.