Serate in famiglia CCXXXII-CCXXXIII-CCXXXIV

            Abbiamo detto che la crisi della musica, già operante tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi lustri del Novecento, e poi aggravatasi in seguito alla prima guerra mondiale, non poteva non generare anche una crisi dell’opera lirica, che doveva investire tanto i compositori, quanto il pubblico. I primi si trovarono di fronte al problema del linguaggio musicale nuovo, che, a causa del prevalere delle dissonanze, sempre meno si adattava al tradizionale modo di intendere la melodia lirica, e ciò non poteva non causare una graduale disaffezione del pubblico verso il melodramma, per il quale, dopo più di tre secoli di incontrastato successo, sembrava prospettarsi un periodo di generale oscuramento.

            Se la crisi doveva esplodere in modo palese soprattutto in coincidenza con la prima guerra mondiale, tanto che, come abbiamo visto, diversamente da ciò che sarebbe accaduto in seguito, non poche opere scritte nei primi lustri del Novecento furono accolte in repertorio con il pieno favore del pubblico, essa si era manifestata già durante la “belle époque”.

            Un’opera come “Pelléas et Mélisande” di Claude Debussy (1862-1918), rappresentata per la prima volta nel 1902, se pure supportata dalla critica, rimase sempre appannaggio di un’élite di raffinati estimatori, senza mai divenire propriamente popolare. Essa ben rappresenta la crisi spirituale dell’epoca anche per il suo libretto, ispirato al dramma dallo stesso titolo, scritto dal poeta belga Maurice Maeterlink (1862-1949) nel 1893, caratterizzato da un morboso simbolismo. Un critico musicale del tempo scrisse che, mentre si attendeva che incominciasse la rappresentazione dell’opera, l’orchestra stava accordando gli strumenti. Si aprì il sipario, e l’orchestra continuava ad accordare gli strumenti. Questa battuta ironica esprime in modo molto vivo quale doveva essere la reazione del pubblico di fronte alle nuove tendenze del teatro lirico.

            Nel 1925 veniva rappresentata per la prima volta l’opera del compositore austriaco Alban Berg (1885-1935) “Wozzeck”, ispirata a un dramma di Georg Büchner (1813-1837). Discepolo di Arnold Schönberg (1874-1951), Berg fu uno dei maggiori rappresentanti della musica atonale e nel suo melodramma le onnipervasive disarmonie, insieme allo squallido libretto, ben si adattano ad esprimere il crollo di certezze morali e di ogni orientamento e senso della vita provocato dalle devastazioni del conflitto mondiale. Anche quest’opera, sebbene fosse accolta con favore nei paesi di lingua tedesca durante la vita dell’autore, proprio perché rifletteva lo stato d’animo generale di quegli anni, e benché sia molto valutata nei ristretti ambienti della critica musicale dotta, non è mai divenuta realmente popolare.

            Come già detto, la crisi della musica europea e il conseguente distacco del pubblico dall’opera lirica – confermato dal fatto che la critica accademica spesso indica “Pelleas et Mélisande” e “Wozzeck” come autorevoli rappresentanti del melodramma novecentesco – si radicalizza dopo la prima guerra mondiale. Nel clima ormai non più favorevole al successo popolare dell’opera lirica, spicca quale straordinaria eccezione, come abbiamo visto, la “Turandot” (1926) di Giacomo Puccini (1858-1924). Ma, dato il precipitare della crisi spirituale e artistica in Europa, per trovare un’altra opera accolta trionfalmente dal pubblico con spontaneo plauso popolare dobbiamo varcare l’oceano e cercarla in America. 

            Il musicista statunitense George Gershwin (1898-1937), pur avendo avuto una classica formazione pianistica, ispirò le sue composizioni soprattutto alle tradizioni popolari americane. Certamente egli sentì l’attrattiva della contemporanea musica europea e ne subì anche l’influenza. Ma furono proprio autorevoli compositori europei a trattenerlo dal seguire troppo da vicino il loro esempio. Nel 1920 egli si recò a Parigi, con l’intenzione di studiare musica con Nadia Boulanger (1887-1979) e con Maurice Ravel (1875-1937), ma ambedue gli consigliarono di non contaminare con i modelli musicali europei la sua formazione ispirata soprattutto al jazz. «Perché diventare un Ravel di secondo piano» gli disse il musicista francese, «quando sei già un Gershwin di primo piano?».

            Credo che dobbiamo ringraziare la saggezza della Boulager e di Ravel, perché, grazie ai loro consigli, Gershwin si rafforzò nella sua ispirazione originale, e ciò gli permise di superare le problematiche che stavano inaridendo la musica europea e di donare al mondo un’altra opera lirica popolare e immortale.

            Ovviamente, sebbene il suo soggiorno in Francia fosse durato soltanto pochi mesi e avesse l’esito che abbiamo ricordato, il compositore americano non poteva sottrarsi alla suggestione della musica del suo tempo, sentita come più viva e attuale. Egli si interessò alle composizioni di autori quali Debussy, Stravinsky (1882-1971), Schönberg e Berg, e sembra che tra le opere che maggiormente lo stimolarono a comporne una lui stesso vi fosse proprio il “Wozzeck”, che egli ascoltò in occasione della sua prima rappresentazione americana nel 1931. Ma se l’influsso di questi musicisti arricchì Gershwin con le audacie proprie delle nuove ricerche armoniche e con i loro effetti drammatici, nel melodramma del compositore statunitense le moderne disarmonie vengono in larga misura soverchiate dalla travolgente vena melodica della musica popolare americana – come i languri simbolisti e gli squallori mortiferi dei recenti libretti europei vengono spazzati via dalla prorompente vitalità afroamericana e dal suo modo originale di sentire ancora i valori dell’amore e della fede, se pure in un contesto di indigenza e di diffusa miseria morale.

            L’opera “Porgy and Bess” – da molti considerata piuttosto una sorta di musical, ma in realtà difficilmente inquadrabile – fu eseguita per la prima volta a Boston nel 1935. L’autore si era ispirato a un dramma di  Dorothy Heyward (1890-1961) e DuBose Heyward (1885-1940), “Porgy” (1927), a sua volta tratto da un romanzo omonimo del 1926 di DuBose Heyward. Il libretto fu scritto da DuBose Heyward e dal fratello di Gershwin, Ira Gershwin (1896-1983). Il dramma si svolge nei quartieri negri poveri di Charleston, nella Carolina del sud. Nel 1934 Gershwin si stabilì per qualche tempo a Folly Beach, una località vicina a Cherleston, per familiarizzarsi con la musica popolare afroamericana. Come già Puccini aveva inserito in “Madama Butterfly” melodie popolari giapponesi e nella “Turandot” melodie popolari cinesi, vivificandole però con la sua ispirazione originale, analogamente Gershwin si appropriò dei canti tradizionali negri, ma seppe integrarli con creativa originalità nella sua composizione – e la parte più coinvolgente dell’opera sono probabilmente le sue rielaborazioni degli “spirituals” religiosi dei negri d’America.

            “Porgy and Bess” rappresenta una vicenda dal finale tragico. In un povero quartiere afroamericano di Charleston, in seguito ad un feroce litigo tra i neri locali, Crown, una sorta di gangster prepotente e violento, uccide un uomo. Fuggendo per timore della polizia, abbandona sul posto – ma soltanto temporaneamente – la sua donna, Bess, una giovane negra dai costumi poco edificanti e che fa uso di stupefacenti. Un uomo del quartiere, che la conosce bene perché le fornisce la droga, la invita a seguirlo a New York, dove le promette una vita ricca e piacevole. La donna rifiuta l’invito e cerca poi qualcuno che la accolga in casa sua per non cadere in mano alla polizia. Ma tutte le porte le si chiudono, finché ella non viene accolta nella misera baracca di Porgy, un uomo storpio di animo semplice e di buon cuore.

            Poco per volta, vivendo con Porgy, Bess gli si affeziona e desidera sinceramente cambiare vita. Ma, nonostante le sue buone intenzioni, per due volte ricade nella sua trascorsa abiezione. La prima volta riesce a rialzarsi, grazie all’amore generoso di Porgy, ma la seconda volta si allontana definitivamente, cedendo alle lusinghe dello spacciatore di droga.

            Il finale tragico, però, viene illuminato dalla speranza, se pure umanamente irragionevole, di Porgy, il quale non si rassegna a considerare la sua Bess perduta per sempre e, cantando insieme ai negri suoi vicini di casa un canto di affidamento a Dio che riecheggia gli accenti degli spirituals che hanno punteggiato la partitura nei suoi punti salienti, si avvia verso New York per ricercarla.

            L’opera ebbe una vita tormentata, anche perché fu a lungo accusata di razzismo dalla comunità afroamericana, la quale non gradiva di essere rappresentata dalla popolazione umanamente degradata di uno slum di Charleston. In realtà si trattava di un pregiudizio, come dimostra il fatto che moltissime opere letterarie e musicali – come la stessa “Wozzeck” di Alban Berg – descrivono situazioni della popolazione bianca altrettanto e più degradate. Inoltre proprio in occasione della prima rappresentazione dell’opera a Washington, nel 1936, per la prima volta, in seguito alle indignate proteste degli afroamericani, fu soppressa la segregazione al National Theater e si ebbe così un pubblico misto di neri e bianchi. E proprio quest’opera, per la quale l’autore esigeva artisti di colore, fu l’occasione per molti afroamericani di distinguersi sulla scena musicale d’America.

            Un altro incidente di percorso nella diffusione dell’opera furono le sue varie rielaborazioni abbreviate, fatte dallo stesso autore e da altri. E in realtà fino al 1976, quando essa fu eseguita alla Houston Grand Opera restaurata nella sua forma originale, con immenso successo, “Porgy and Bess” fu conosciuta in forma rimaneggiata – forma che fu adottata anche dal film omonimo del 1959.

            Ma, nonostante le polemiche e i rimaneggiamenti, il successo di pubblico dell’opera fu spontaneo e in continua espansione. Ben presto alcune sue melodie – come il celebre canto “Summertime”, con cui si apre la rappresentazione – divennero popolarissime e furono anche adottate come colonne sonore di film.

            Un relativo ostacolo per l’ascolto della composizione è costituito dalla lingua: un inglese popolare dialettale, proprio della popolazione negra della Carolina del sud. Ma la rappresentazione si può seguire senza problemi leggendo prima il libretto, che si può scaricare, con la traduzione italiana a fronte, tramite il seguente link:

            L’edizione che proponiamo, rappresentata al Metropolitan di New York nel 2020, è al di sopra di ogni elogio, per l’esecuzione, le scene, i costumi e la qualtià della registrazione audio-video.

            Sembra di poter dire che il primo e più lungo atto sia il più ricco di ispirazione melodica, mentre il secondo probabilmente fa maggiori, forse eccessive, concessioni alle audacie dell’armonia moderna. Ma nell’insieme lo spettacolo è eccezionalmente coinvolgente – e ciò fa perdonare anche alcune movenze dei personaggi, presenti in alcune scene, che sembrano un po’ troppo volgari.

            La lunghezza dell’opera consiglia di dividerla in due o anche in tre serate.

            Buona visione e buon ascolto!