Serate in famiglia LXIX

Donne musiciste? Forse in tempi recenti, con il femminismo e l’emancipazione della donna! No! In piena età controriformista e barocca, quando, secondo i cliché più diffusi, la donna sarebbe stata rigorosamente relegata in casa e non avrebbe avuto né istruzione né opportunità.

Teniamo presente che la società di quel tempo era estremamente diversa dalla nostra e che spesso non ci è facile capirla. Ovviamente anche la condizione della donna era molto diversa e variava sensibilmente in relazione ai luoghi, ai tempi, alle classsi sociali e ai costumi. Per questo pretendere di darne una valutazione sommaria e indiscriminata è illusorio. Certamente la donna aveva allora restrizioni molto maggiori di oggi, ma le situazioni erano molto diversificate. Incontreremo donne istruite nelle lingue antiche e moderne, nella poesia e nella matematica, altre molto esperte nelle arti, ma sappiamo anche che in molti ambienti le cose non erano così facili per loro. Madame de Staël (1766-1817), testimone diretta e autorevole, riferisce che in Inghilterra gli uomini, anche della classe media, avevano gravi responsabilità nel governo e nell’amministrazione pubblica, mentre in Italia questo compito era riservato alla classe nobiliare. Perciò in Italia gli uomini si dedicavano maggiormente all’arte, al divertimento, o anche allo studio. Da parte loro le donne in Inghilterra erano per lo più confinate in casa, mentre in Italia partecipavano alla vita sociale e artistica, si dedicavano alla poesia e alla musica e spesso potevano essibire le loro doti anche in pubblico. La stessa vita religiosa femminile era diversa da oggi e molto diversificata.

            Non è questo il luogo per approfondire questi aspetti storico-sociali. Basta tenere presente che la condizione della donna aveva molte limitazioni – e alcune voci fin da allora se ne lamentavano – e che tuttavia in molti casi anche in quei tempi, così diversi dai nostri, le donne avevano la possibilità di coltivare le loro doti intellettuali e artistiche.  

            Ma facciamo conoscenza con le nostre simpatiche musiciste di un’Italia che ci hanno descritto come “dormiente”.

            La prima che incontriamo è Francesca Caccini (1587-dopo il 1641), figlia di Giulio Caccini (1551-1618), esponente di rilievo della fiorentina Camerata de’ Bardi. Educata, oltre che nella musica, in latino, greco, lingue moderne, letteratura e matematica, Francesca fu cantante, liutista, poetessa, insegnante di musica e compositrice. In un primo tempo, insieme alla sorella Settimia, cantò nel coro diretto dal padre, per poi passare al servizio dei Medici come cantante, insegnante di musica e compositrice. Nel 1627, morto il suo primo marito, sposò il nobile lucchese Tommaso Raffaelli e si trasferì a Lucca, per tornare di nuovo a Firenze, a servizio de Medici, nel 1634, dopo la morte del secondo marito. Dopo il 1641 non si hanno più notizie di lei.

            Ella si distinse nei diversi generi di musica allora diffusi: canti profani e sacri, musiche di scena per le commedie di Michelangelo Buonarroti il giovane, e anche un melodramma dal titolo “La liberazione di Ruggiero dall’isola d’Alcina”, eseguito a Firenze nel 1625 in onore del principe di Polonia Ladislao Sigismondo, che divenne poi re Władysław IV. Quest’ultimo apprezzò tanto la rappresentazione che la fece eseguire nuovamente a Varsavia nel 1628. È considerata la prima opera scritta da una donna. Poche delle sue composizioni sopravvivono, ma esse mostrano una grande perizia nell’elaborazione ritmica e nell’armonia.

                Ascolteremo ora, di Francesca Caccini, una composizione strumentale, la “Romanesca”.

Dall’opera “La liberazione di Ruggiero dall’isola d’Alcina” ascolteremo il coro “Antri gelati”

            Proponiamo ora l’ascolto della canzone “Lasciatemi qui solo”

            Un’altra canzone: “O che nuovo stupor”.

Un canto faceto: “Chi desia”

Proponiamo infine un canto sacro: “Dolce Maria”.

Musicista molto dotata fu anche la veneziana Barbara Strozzi (1619-1677), figlia illegittima del poeta e librettista Giulio Strozzi, fin da molto giovane manifestò le sue eccezionali doti di cantante. Il padre la valorizzò, iscrivendola, a sedici anni, all’Accademia degli Unisoni, da lui fondata, in cui avevano campo d’azione poeti e musicisti. Non ebbe vita facile. Da una relazione continuata con il nobile veneziano Giovani Paolo Vidman ebbe quattro figli, di cui tre, due femmine e un maschio, entrarono in religione.

            Barbara Strozzi pubblicò otto volumi di canti, per la maggior parte profani, dei quali sette sopravvivono – oltre a vari manoscritti dispersi in diverse biblioteche europee. Nessun autore di composizioni profane del tempo eguagliò il numero delle sue pubblicazioni. Molti testi delle sue composizioni furono scritti dal padre o dai suoi colleghi, o anche da lei stessa. Discepola di Francesco Cavalli (1606-1676), a sua volta discepolo di Monteverdi, le sue musiche si distinguono per una più intensa ispirazione lirica, che la rende una delle personalità musicali italiane più interessanti del suo tempo.

            Di Barbara Strozzi proponiamo il madrigale “Con le belle non ci vuol fretta”.

Abbiamo ora la fortuna di poter ascoltare, in concerto, diversi canti di Barbara Strozzi eseguiti dalla voce dell’ottimo soprano Adriana Ruiz. 

https://www.youtube.com/watch?v=FKno2yQs4Y4

Parallelamente a queste voci femminili del mondo musicale laico, appaiono nello stesso tempo notevoli compositrici nell’ambito della vita religiosa claustrale.

Alla fine del Cinquecento, lo storico milanese Paolo Morigia menzionava la straordinaria fioritura di attività musicale nei conventi dell’Italia Settentrionale al suo tempo: «Quasi tutti i monasteri delle monache fanno professione di Musica, così del suono di più sorte d’instromenti musicali, come di cantare. Et in alcuni monasteri ci sono voci tanto rare, che paiono angeliche, e a sembianza di sirene allettano la nobiltà di Milano d’andargli ad udirle». La musica liturgica veniva scritta e cantata dalle stesse suore, esperienza unica, in cui si giungeva a un’ideale di più forte aderenza tra la vita e l’ufficio divino, proprio attraverso il lavoro musicale. La qualità artistica delle opere pervenuteci di alcune tra queste compositrici è elevata. Sono opere per lo più legate al testo sacro – ma non mancano, come vedremo, anche madrigali profani – dalla monodia sobria, pienamente aderente alle parole e sostenuta dal basso continuo. I mottetti si sviluppano con abbondanti figurazioni, arricchite da ciò che c’è di più raffinato nell’arte della composizione.

Rimandando ad una successiva serata l’incontro sorprendente con la personalità più affascinante di questo mondo musicale claustrale, daremo ora soltanto un piccolo saggio di due monache compositrici, una agostiniana, Vittoria Raffaella Aleotti (circa 1575-dopo il 1620), e l’altra benedettina, Caterina Alessandra (circa 1590-dopo il 1618).

La prima, avendo manifestato precoce inclinazione alla musica, a sei o sette anni fu mandata a studiare presso il monastero agostiniano di San Vito, a Ferarra, sua città natale, allora celebre per la cura e la promozione dei talenti musicali, e a quattordici anni abbracciò la vita religiosa nello stesso convento. È dicusso se ella mutò allora il suo nome di battesimo, Vittoria, con il nome di religione di Raffaella, o se si tratta di due persone distinte, sorelle tra loro. Nello stesso anno 1593 apparve un libro di madrigali di Vittoria e un libro di mottetti sacri di Raffaella – il primo libro di musica sacra scritto da una donna pubblicato. Molto apprezzate furono, nel convento, le doti di cantante, strumentista, maestra di musica e compositrice di Raffaella.

Caterina Alessandra, nativa di Pavia, entrò nel monastero delle benedettine di Sant’Agata di Lomello, in Lombardia. Già prima aveva avuto un’ottima educazione musicale e nel monastero poté mettere i suoi talenti al servizio del culto con la composizione di numerosi motetti sacri, dei quali molti furono pubblicati durante la sua vita.

Ascoltiamo, di Vittoria Raffaella Aleotti, il madrigale “Te amo vita mia”.

Un altro madrigale: “Al turbar dei bei lumi”.

Ascoltiamo ora un mottetto sacro: “Miserere mei Deus”

Di Caterina Alessandra ascoltiamo due motteti: “O salutaris hostia” e “Veni dilecte”.

Come abbiamo promesso, avremo occasione di fare la conoscenza di un’altra voce musicale del chiostro, che non ci deluderà.