Una moderna epopea

di Don Massimo Lapponi

Quando l’estraniamento che sentivo dalla moderna società mi portò alla decisione di lasciare la vita del mondo per entrare nell’ordine benedettino, la Chiesa era nel pieno della crisi post-conciliare. Si avvertiva dolorosamente il contrasto fra la tradizionale vita spirituale cristiana, e le tendenze più moderne, secondo le quali l’impegno nella vita spirituale distraeva da ciò che solo meritava la nostra dedizione: il lavoro sociale, spesso inteso come vera e propria rivoluzione.

            Ovviamente dietro questa pressione vi era l’eredità del pensiero di Marx, secondo il quale la vita spirituale non è che un’alienazione in un mondo intimo, e perciò privatistico, egoistico e in fondo illusorio, che ci distrae dalla vera dimensione dell’uomo, che è la dimensione “esteriore”, non “spirituale”, intima e “privata”, ma visibile, sensibile, materiale e perciò sviluppata a tutto tondo sul piano sociale ed economico.

            A questa pressione, diffusa molto allora anche nell’ambiente ecclesiastico, mi impegnai ad opporre la fedeltà alla tradizione della Chiesa e dei suoi santi, dottori e pastori, in un clima di drammatica tensione spirituale. Quando dovetti affrontare il lavoro della mia tesi di laurea improvvisamente mi si accese una grande luce, che doveva poi guidarmi negli anni a venire.

            Avevo scoperto, nei miei studi e nella nostra antica biblioteca, la figura poco conosciuta del cardinale barnabita Giacinto Sigismondo Gerdil (1718-1802). Mi appassionai delle sue opere e studiandole a fondo vi trovai una nozione assolutamente straordinaria, che rovesciava totalmente la prospettiva del materialismo marxista. Il Gerdil, d’accordo con altri pensatori del suo tempo, sottolineava con grande vigore, mettendone il luce la strabiliante ovvietà, che è proprio la dimensone interiore, del pensiero e dello spirito, quella in cui si colloca in modo sostanziale l’apertura dell’uomo alla socialità, in tutti i suoi aspetti. Fuori della coscienza intellettuale interiore, infatti, non vi è alcuna socialità. Al contrario, la sensibilità come tale non fa che chiuderci irrimediabilmente nell’immediato.

            Ecco dunque svelato l’insidioso sofisma di Marx e di tutta la sua progenie. Ciò che il pensiero rivoluzionario presenta come “materiale”, nella misura in cui è “sociale”, è invece sprituale, interno alla coscienza intellettiva dell’uomo, e solo in essa può avere esistenza e caratteri propri e formali. 

            Dunque tutta la retorica che pretendeva di annullare la vita spirituale dell’uomo, presentandola come un’evasione dalla realtà sociale, era una pura illusione. Proprio la realtà sociale non era altro che una conferma del fatto che la presenza dell’uomo nel mondo necessariamente transita attraverso la sua coscienza interiore e intellettiva. Come, dunque, si può pretendere di mortificare l’impegno profondo, spirituale, morale e direttivo rispetto all’azione dell’uomo nel mondo, con il pretesto che ad esso deve sostituirsi un “sociale” anonimo e astratto, che illusoriamente si vuole presentare come “materiale”, ma che in realtà non ha vita se non nella stessa coscienza interiore dell’uomo?

            Da questa improvvisa illuminazione dovevano nascere, negli anni immediatamente successivi, in particolare due lavori, che poi avrebbero avuto uno sviluppo del tutto imprevisto. Ambedue i lavori, da punti di vista diversi, erano già da allora in lotta contro quella che sarebbe stata chiamata “globalizzazione”.

            Il primo fu un articolo, che abbozzai quasi subito, dal titolo “Il mistico velo di Maia”, in cui il velo di Maia non era altro che l’illusione di un globalismo che si presentava, falsamente, come estraneo alla coscienza umana, pretendendo così di soffocare ogni vita intima personale e finendo per sottoporre masse intere a direttive astratte e impersonali. In particolare intendevo attaccare frontalmente il maltusianesimo del Club of Rome. Ma la prima bozza dell’articolo era molto imperfetta, tanto che dovetti ritornarci sopra a lungo, prendere contatto con economisti italiani e stranieri e fare molti altri studi. Soltanto dopo circa quarant’anni mi sembrò che il testo potesse andare, se pure con una segreta insoddisfazione che vorrebbe renderlo ancora più efficace. Si può scaricare tramite il seguente link:

            L’altro lavoro fu un breve romanzo, dal titolo “Il manoscritto del dottor Bonich”, che scrissi, sotto una forte ispirazione, nel 1991. Non  sapevo allora che pochi anni dopo vi avrei aggiunto un seguito, e che la narrazione sarebbe continuata ancora, dopo molti anni, con una serie di ben 28 romanzi scritti per la gioventù.

            Il primo romanzo doveva dare il tono a tutta la serie successiva – e sembra oggi acquisire una non comune attualità. Anche in questo caso l’avversario principale era la globalizzazione e soprattutto i suoi effetti deleteri sulla demoralizzazione dell’uomo, specialmente, ma non solo, nel campo sessuale. L’intuizione originaria di fondo, rafforzata da successive esperienze, permaneva il fatto incontestabile che il centro di tutto è sempre ineluttabilmente la coscienza umana e che, quindi, deresponsabilizzarla con l’illusorio fantasma di una socializzazione astratta, oltre ad essere un crimine, è anche una clamorosa contraddizione. Vi era anche affermata la certezza di una strategia programmata, che stava portando avanti insidiosamente il progetto della demoralizzazione in vista della globalizzazione. Contro questa strategia si scontra il dottor Alessandro Bonich – protagonista del romanzo soltanto nella misura in cui la sua vicenda rivive nell’esperienza spirtuale della sua giovane nipote, Vittoria, e di Giorgio, il ragazzo che casualmente la incontra e, innamoratosi di lei, si lascia coinvolgere nella sua drammatica avventura spirituale.

            Nel successivo romanzo – “Di generazione in generazione” – sarà il figlio di Vittoria e Giorgio, Alessandro, a riscoprire, nei manoscritti del suo omonimo prozio, la luce di una scienza “veritiera”, che, opponendosi ad una vulgata pseudoscientifica materialista, illumina la tragica strada in cui il mondo si sta irresponsabilmente incamminando.

            Nei ventotto romanzi successivi, scritti per la gioventù sotto il titolo complessivo “Le vie segrete del cuore”, sarà protagonista la figlia di Alessandro, Vittoria, insieme al gruppo delle sue amiche ed amici, che, se pure attraverso drammi personali e prove dolorose, hanno accolto infine, come una preziosa eredità, la luce scaturita dalla tragica vicenda del dottor Bonich e dal suo postumo riverbero.

Vittoria senior, accogliendo l’osservazione di Giorgio che il mondo moderno, volutamente ignaro della sua tradizione spirituale, era come quel nuovo faraone che non aveva conosciuto Giuseppe, aveva però aggiunto che dai figli di Giuseppe e dei suoi fratelli era scaturita la salvezza del genere umano. Giorgio morente dirà alla nipote Vittoria junior che lei e i suoi amici sono i veri figli di Giuseppe. E tali si vorrebbe che divenissero i giovani lettori di questi romanzi scritti per loro.

Il manoscritto del dottor Bonich, Tabula fati, 2017; Di generazione in generazione, Tabula fati, 2019; Le vie segrete del cuore vol. 1, Tabula fati, 2019; Le vie segrete del cuore vol. 2, Tabula fati, 2021

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