Chi è l’uomo che desidera la vita e brama di vedere giorni felici?

(inedito)

Il Vescovo di Kurunegala, Harold Anthony Perera, nel suo messaggio per l’inizio dell’anno della fede (11 ottobre 2012 – 24 novembre 2013) ricordava che «i nostri genitori dei tempi passati (…) raccoglievano la famiglia la sera per la recita giornaliera del rosario». Ma, egli osservava, «con i moderni programmi di impegno e di attrattiva per gli affari mondani, questa buona tradizione spesso si è perduta». E «come risultato possiamo vedere con i nostri occhi lo stato delle famiglie di oggi che non pregano». Dobbiamo dunque «incoraggiare le persone a pregare».
Cercando di approfondire queste indicazioni, avevo allora osservato che voler inserire la recita del rosario in famiglia con uno stile di vita segnato dai «moderni programmi di impegno e di attrattiva per gli affari mondani» sarebbe come mettere il vino nuovo in otri vecchi. Sostenevo perciò che, prima di proporre una rinascita della preghiera nelle famiglie, si dovessero invitare queste ultime ad adottare uno stile di vita alternativo a quello oggi universalmente diffuso.
Già da qualche anno la nostra comunità benedettina sta proponendo alle famiglie l’osservanza della Regola di San Benedetto – naturalmente adattata alle circostanze proprie della loro vita – al fine di diffondere uno stile di vita alternativo a quello attualmente imperante.
«Ma quali sono i caratteri di questo modo di vita alternativo?» mi chiedevo nel mio commento alle parole del Vescovo. E rispondevo: «Il suo carattere principale è che esso non è fondato sull’attrattiva per gli affari mondani, ma sull’attrattiva per l’amore di Dio e per la pace che da esso si diffonde nella vita fraterna. Quest’amore e questa pace danno una forma al nostro modo di lavorare, di parlare, di pregare, di cantare, di vestire, di studiare, di mangiare e di organizzare la vita giornaliera della comunità e dei singoli».
Rileggendo ora queste osservazioni e confrontandole con altre più recenti, consegnate ai due documenti: “Proposte per una rinnovata formazione religiosa e umana dei giovani” e “Dalla letteratura alla vita”, ho avvertito una certa incompletezza nella breve descrizione, in esse contenuta, dello stile di vita ispirato alla Regola benedettina, poiché mi limitavo a dire che le qualità spirituali che lo caratterizzano conferiscono una forma propria «al nostro modo di lavorare, di parlare, di pregare, di cantare, di vestire, di studiare, di mangiare e di organizzare la vita giornaliera della comunità e dei singoli».
Ora indubbiamente la vita quotidiana è il banco di prova delle scelte fondamentali della nostra esistenza, ma queste scelte non possono identificarsi con la pratica quotidiana, e perciò, nel delineare la forma di vita alternativa a quella oggi più universalmente diffusa, bisognerà chiarire meglio ciò che si trova “a monte” di una retta pratica quotidiana e che dà ad essa il suo vero senso.
Nel mio commento al messaggio del Vescovo non manca, naturalmente, un riferimento a questo “a monte”, e neanche un accenno a ciò che lo distingue dal comune modo di vivere e di sentire. Credo tuttavia che sia necessario approfondire e chiarire meglio il senso di questi due opposti orientamenti di fondo, al fine di apprezzare nel suo giusto valore l’insegnamento della Regola sulle virtù proprie della vita quotidiana.
Ciò che oppone la diffusissima “via mondana” alla “via stretta” del Vangelo e della Regola benedettina è essenzialmente una diversa fede: la “via mondana” colloca la sua “fede salvifica” nei vari impegni e nelle eccitanti attrattive che il mondo moderno offre sul suo mercato, mentre la “via stretta” colloca la sua fede salvifica nell’impegno a migliorare se stessi e nei beni “spirituali” che Cristo ci ha portato.
E’ necessario chiarire alcuni termini e concetti: per “fede salvifica” si intende la fiducia riposta in qualche cosa non per un fine che in fondo non ci riguarda da vicino, perché lo si immagina collocato in un’altra vita, ma per il fine di ottenere tutto il bene che l’uomo possa desiderare fin da adesso e il più a lungo possibile – al limite per tutta l’eternità. In questa prospettiva, la fede propria della “via stretta” non è qualche cosa al di fuori della realtà ordinaria del mondo, o che riguardi soltanto quelle “strane persone” che – secondo il modo di pensare comune – rinunciano a godersi la vita presente nell’attesa di rifarsi nell’al di là. E’ già per il bene di questa vita e per tutti gli uomini che la “via stretta” propone la sua fede come via di salvezza.
Ora la dinamica della “via mondana” parte dal godimento dei beni umani essenziali e pretende di perpetuarlo e di migliorarlo gettandosi sulle attività esteriori e sulle eccitazioni voluttuose che il mercato del mondo le offre. Al contrario la dinamica della “via stretta”, pur partendo essenzialmente dalla partecipazione agli stessi beni essenziali, segue una strada opposta.
Per spiegare meglio questo punto conviene fare qualche esempio.
Un giovane ha goduto nella sua famiglia i beni dell’affetto familiare, del benessere economico e della possibilità di usufruire liberamente di tutto ciò che offre la società civile, dal divertimento allo studio, al lavoro. Naturalmente egli vorrebbe perpetuare e anzi aumentare questi beni, e per farlo sceglie di goderli il più possibile per la via più facile. Gli affetti si possono agevolmente ampliare attraverso facili esperienze di flirt; avere più soldi serve a divertirsi di più, quindi più ci si diverte più si sfruttano i soldi e più si pensa che se ne possano avere; quanto alle soddisfazioni che può offrire la buona riuscita nello studio e nel lavoro, esse si moltiplicano con la stima e l’approvazione di una società che pone nelle relative qualifiche e attività la propria fiducia per il miglioramento del benessere collettivo.
Per comprendere meglio la dinamica della “via stretta”, facciamo l’esempio di qualcuno che la ha realmente seguita: San Benedetto.
Anche San Benedetto, come la maggior parte delle persone civili, ha conosciuto il calore degli affetti familiari, accompagnato dal benessere di una famiglia agiata e dalla possibilità di esercitare la libertà di farsi valere attraverso lo studio e il lavoro. Ma quando, al momento di uscire dalle cure materne e paterne per muoversi liberamente nel mondo, si è trovato di fronte lo spettacolo della gioventù studiosa del suo tempo, qualcosa lo ha convinto che la “via mondana”, universalmente seguita da quella gioventù, non avrebbe affatto aumentato né gli affetti umani, né le ricchezze, né la libertà. Infatti la gioventù studiosa di Roma era ampiamente dedita a moltiplicare i flirt amorosi, a spendere i soldi per i propri vizi e a usare senza ritegno il tempo e le forze degli anni giovanili per soddisfare i propri desideri, o al più per ottenere l’onore di una qualifica scolastica. Ma tutto questo in quale misura avrebbe ampliato i beni ricevuti all’origine con il dono della vita? L’amore dei loro genitori e fratelli era di qualità diversa dai facili flirt giovanili, e questi ultimi servivano piuttosto a distruggere che a promuovere la felicità di essere sinceramente amati e di amare sinceramente e profondamente. Spendere i soldi senza misura per i propri piaceri serviva soltanto a dilapidarli e a rimanere poi senza niente, una volta finita la riserva familiare. La possibilità di gestire liberamente il proprio tempo e le proprie forze, una volta che queste fossero state dissipate senza scopo negli anni migliori, sarebbe presto venuta meno con gli obblighi dell’età, con la diminuzione delle forze fisiche e con l’aumento delle infermità. Sarebbe rimasto dunque soltanto un lavoro, forse fonte di soddisfazioni, ma certamente non di vera felicità.
Ecco dunque presentarsi agli occhi illuminati del giovane Benedetto la prospettiva di una rovina a cui quei giovani andavano incontro con assoluta incoscienza. Ma rovina di che cosa?
Certamente rovina di tutta la vita, perché mal vissuta negli anni in cui si pongono le fondamenta del proprio destino. Ora però la “vita” è una parola grossa, che contiene un grande mistero. Che cos’è la vita? Qual è il suo segreto? Come e dove trovare la via per preservarla dalla rovina e condurla invece verso la felicità? Certamente quei giovani non si erano posti seriamente questa domanda, e avevano invece accettato senza alcuna personale presa di coscienza le facili risposte che la “via mondana” offriva loro.
A questo punto San Benedetto avrebbe potuto semplicemente lasciare Roma e tornare presso la sua famiglia, dalla quale aveva ricevuto il dono della vita e i beni essenziali che l’arricchiscono. Ma un giovane che si avvia per il suo cammino, può semplicemente tornare indietro? Non sente dentro di sé la spinta ad andare avanti e a dare compimento a quell’avvio che ha ricevuto dai suoi genitori, ma che non sarà completamente suo se non diventerà una conquista delle sue proprie forze?
Ora quale strada seguire per portare a compimento le promesse della vita ricevute con la nascita e la prima educazione? Il nido familiare da cui egli proveniva, non era destinato a spegnersi? E poteva prolungare la sua esistenza senza il concorso del lavoro e dell’impegno di Benedetto per una vita migliore?
Dunque tornare indietro non era una risposta soddisfacente. Ma andare avanti come? Anziché imitare i cattivi esempi degli studenti di Roma, egli poteva cercare di imitare i buoni esempi ricevuti in casa. Ma ancora: sarebbe stato sufficiente questo di fronte alla necessità di affrontare tanti imprevisti e tante nuove realtà, che la generazione precedente non aveva conosciuto, e di fronte a una società che, come lo dimostravano gli esempi degli studenti romani, minacciava di cadere in un generale disfacimento?
Dunque, se si volevano salvaguardare, perpetuare e ampliare i beni già ricevuti, bisognava risalire alle più profonde sorgenti della vita e trovare in esse la guida per il proprio avvenire.
Ora, l’amore dei genitori di Benedetto era stato consacrato da un sacramento della Chiesa, e la loro paternità e maternità, come pure la filialità di lui e della sorella Scolastica, erano state consacrate al fonte battesimale. Dunque i beni essenziali della vita si trovavano sotto la protezione della religione; e perciò Benedetto non esita: solo risalendo fino a Dio, fonte della vita e dell’amore, si poteva trovare una sicura via di salvezza. Ma come attuare il progetto di “risalire fino a Dio”?
Certamente il sacramento del matrimonio avrebbe posto sotto la divina protezione l’amore degli sposi tra loro e verso i loro figli. Ma come sperare di conservare con costanza per tutta la vita i doni divini ricevuti dai sacramenti della Chiesa? Quanti pericoli insidiavano le migliori intenzioni nella società decadente in cui bisognava pur vivere! In tempi di crisi, come era quello di Benedetto – tra i secoli V e VI dell’era cristiana – in realtà per molti aspetti simile al nostro, non ci si può accontentare della mezze misure: bisogna dare tutto per ottenere tutto.
Così Benedetto fugge dalle cure familiari e si nasconde nella solitudine dello speco di Subiaco per rimanere solo sotto lo sguardo di Dio. Soltanto in Dio troverà la risposta alla sua ricerca delle fonti della vita e della felicità.
Egli rimane circa due anni nella solitudine di Subiaco. Non sono due anni fine a se stessi; sono invece una preparazione ad una grande missione. Tutte le illuminazioni che egli riceve in quegli anni di solitudine e di preghiera sono la premessa indispensabile per l’attuazione di essa. Così, quando la voce di Dio lo chiamerà fuori della sua vita eremitica, Benedetto sarà ormai pronto per organizzare una forma di vita alternativa a quella che la gran massa degli uomini segue abbandonandosi alla corrente della vita mondana senza alcun ritegno.
Quando Benedetto scriverà la sua Regola, all’inizio di essa egli rivolgerà l’invito a seguire il suo insegnamento a chiunque «desidera la vita e vuole vedere giorni felici». Questa esortazione, che risuona nel Prologo di un’opera destinata soltanto ai monaci, ci fa capire che il messaggio di Benedetto, se direttamente riguarda l’organizzazione spirituale e materiale di una comunità religiosa, indirettamente interessa tutti. Infatti tutti desiderano la vita e vogliono vedere giorni felici, e San Benedetto invita tutti ad allontanarsi dalla “via larga” che porta alla perdizione e ad abbracciare la “via stretta” che porta alla vita.
Cerchiamo di chiarire meglio questo punto.
La scelta di Benedetto, e dei monaci suoi discepoli, è una scelta totalizzante: la fonte della vita e di tutti i doni che l’accompagnano è Dio, e quindi soltanto distaccandosi da quelle realtà create che maggiormente attraggono il cuore umano, e che perciò troppo facilmente distraggono l’uomo peccatore da Dio, e riservando a Dio solo la totalità del proprio amore e del proprio impegno si può vivere nella piena fiducia di non perdere mai le sue celesti benedizioni.
Ora i beni più sostanziali e preziosi della vita presente – ma proprio per questo i più allettanti e quelli che più facilmente possono prendere nel cuore umano il posto di Dio – sono l’amore tra l’uomo e la donna, la ricchezza – intesa nei suoi più svariati aspetti – e la libertà di seguire la propria volontà. Si tratta di beni grandissimi, di doni divini, ma proprio per questo su di essi grava l’ombra della tentazione all’abuso e al peccato. E’ ciò che Benedetto ha visto nei giovani studenti di Roma e in tutta la decadente società del suo tempo; e di fronte a un esempio così negativo, ma anche così seducente, egli sente di dover offrire al mondo l’esempio contrario. Gli uomini mondani, con le parole e con la vita, fanno propaganda all’amore per i piaceri del mondo – amore esagerato fino all’eccesso e all’abuso; Benedetto, con le sue parole e con la sua vita, farà propaganda all’amore totalizzante di Dio, portato fino all’estremo con i voti della verginità, della povertà e dell’obbedienza.
Il fatto ovvio che soltanto una minoranza potrà seguire Benedetto nella pratica dei voti religiosi, non deve far dimenticare che anche chi non è chiamato alla vita consacrata, nell’uso dei grandi beni della vita – l’amore sponsale, la ricchezza e la libertà – deve sempre conservare la giusta libertà spirituale ed agire nella luce di Dio e della sua volontà. Per questo la presenza nel mondo di uomini e donne consacrati a Dio con i voti religiosi ha una insostituibile funzione purificatrice nei riguardi delle persone non consacrate, che sono la stragrande maggioranza.
Proprio l’esempio dei religiosi e delle religiose dovrebbe favorire negli altri uomini e nelle altre donne quella spirituale libertà che permette di usare i beni del mondo senza esserne schiavi e di non farsi condizionare, fin dall’adolescenza, dagli allettamenti della “via larga”. Tutti, infatti, sono chiamati a salvaguardare i beni più preziosi della vita – l’amore sponsale, la ricchezza e la libertà – mettendoli al servizio di Dio e della sua volontà per il bene proprio e altrui. E questo “bene” costituisce la vera felicità degli uomini, perché esso consiste nell’amore vero, in tutte le sue dimensioni, nella ricchezza generosa e nella libertà di poter seguire, senza ostacoli interiori, la propria divina vocazione.
I lettori frettolosi hanno spesso accusato la Regola di San Benedetto e la vita monastica di pensare soltanto alla salvezza spirituale dei monaci, dimenticando il comandamento della carità e i doveri verso la società e i suoi gravi problemi. Ma l’accusa nasce da una visione miope e condizionata da pregiudizi e da ideologie. Al contrario, proprio l’esempio della vita monastica apporta a tutti gli uomini il più grande dei benefici: la salvaguardia della vera felicità contro la rovina che scaturisce dall’abuso dei beni terreni.
Nella vita di San Benedetto vi è un episodio eloquentissimo, che dimostra in modo eccezionalmente efficace l’influenza purificatrice e salvatrice, sulla vita dell’intera società, dei voti monastici, quale condizione privilegiata di un amore totalizzante di Dio, vera fonte di ogni bene.
Così il biografo di San Benedetto, San Gregorio Magno, racconta l’episodio della visita fatta al santo da Totila, re degli Ostrogoti:

«Totila allora si avviò in persona verso l’uomo di Dio. Quando da lontano lo vide seduto, non ebbe l’ardire di avvicinarsi: si prosternò a terra. Il servo di Dio per due volte gli gridò: “Alzati!”, ma quello non osava rialzarsi davanti a lui. Benedetto allora, questo servo del Signore Gesù Cristo, spontaneamente si degnò avvicinarsi al re e lui stesso lo sollevò da terra. Dopo però lo rimproverò della sua cattiva condotta e in poche parole gli predisse quanto gli sarebbe accaduto. “Tu hai fatto molto male – gli disse – e molto ne vai facendo ancora; sarebbe ora che una buona volta mettessi fine alle tue malvagità. Tu adesso entrerai in Roma, passerai il mare, regnerai nove anni, al decimo morirai”. Lo atterrirono profondamente queste parole, chiese al santo che pregasse per lui, poi partì. Da quel giorno diminuì di molto la sua crudeltà».

La diminuzione della crudeltà di Totila dopo la visita a San Benedetto costituisce un esempio luminoso di come la santità della vita monastica estenda la sua influenza ben al di là delle mura del monastero. E ciò si spiega con il fatto che tra i beni essenziali della vita, più volte sopra ricordati, e l’amore totalizzante di Dio non vi è estraneità: essi sono della stessa natura, tanto che se si offusca nelle coscienze la luce dell’amore divino, necessariamente quegli stessi beni vanno in rovina, proprio per l’abuso idolatrico che se ne fa.
Se dunque gli adolescenti che si preparano ad affrontare la vita vogliono “vedere giorni felici”, non dovranno imitare gli studenti della Roma del tempo del santo – o di altre “Rome” dei nostri tempi – ma piuttosto l’esempio di Benedetto. Non, naturalmente, fuggendo nello speco di Subiaco, ma fuggendo nello speco del proprio cuore, per trovare in esso la presenza viva di Dio e ricevere da lui la libertà dalle catene della seduzione dei beni mondani.
Dunque a determinare il corso dell’esistenza non devono essere i progetti di terrena prosperità, ma la salvaguardia delle fonti spirituali del vero amore, della vera ricchezza, della vera libertà.
Concretamente, non saranno i facili flirt, l’avidità del denaro e il suo spreco o la sconsiderata svendita della propria giovanile libertà a donare agli uomini “giorni felici”, ma piuttosto la ricerca di un vero amore, del quale bisogna rendersi degni, di una ricchezza interiore ed esteriore da porre al servizio di tutti, di una missione che dia senso all’esistenza e alla quale consacrare tutta la propria libertà.
Quanto sarebbe di aiuto in questo il contatto assiduo con un monastero in cui ritrovare la pace e la felicità dell’amore di Dio, dell’umile servizio, delle ispirazioni migliori per il buon uso del dono della vita!
Se una famiglia sapesse orientare i propri membri e le loro scelte non seguendo il modello sbandierato in tutti gli angoli dalla propaganda commerciale e mondana, bensì invece il modello alternativo offerto da San Benedetto – e da tutti i gli altri santi – allora la preghiera familiare o personale non sarebbe una presenza estranea nella indifferente vita di oggi, non sarebbe la presenza del vino nuovo della devozione religiosa negli otri vecchi dell’affanno per i piaceri del mondo, ma, al contrario, la presenza in otri nuovi del vino nuovo – vino che, anziché spaccare gli otri e andar perduto, li renderebbe custodi di un bene preziosissimo e squisito.
A questo punto bisogna però aggiungere che il modello di vita alternativo che abbiamo esemplificato con la vita e la dottrina di San Benedetto non può realizzarsi concretamente se esso non imprime la sua forma alla pratica quotidiana. Ed è questo lo scopo della Regola del santo: far sì che le scelte fondamentali che danno un senso alla nostra esistenza diventino una guida luminosa per tutte le azioni di cui è fatta la vita di tutti i giorni .
Quale motivo più convincente per prendere in mano la Santa Regola e imparare dal Patriarca del monachesimo la via che conduce a vedere giorni felici?

D. Massimo Lapponi

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