La luce intramontabile del Natale nell’attuale crisi di civiltà

(pubblicato su lsblog il 22.12.2013)

«Se la Chiesa rinnova ogni anno la sua giovinezza, come l’aquila (Sl 102) è perché, mediante il Ciclo liturgico, essa è visitata dal suo mistico Sposo secondo i suoi bisogni.
«Ogni anno essa lo rivede bambino nella mangiatoia, lo rivede digiunare sulla montagna, offrirsi sulla croce, risuscitare dal sepolcro, fondare la sua Chiesa e istituire i Sacramenti, ascendere alla destra del Padre, mandare lo Spirito Santo agli uomini; e le grazie di questi divini misteri si rinnovano volta a volta in essa, di modo che, fecondato secondo l’occorrenza, il Giardino della Chiesa manda allo Sposo, in ogni tempo, sotto il soffio dell’Aquilone e dell’Austro, il delizioso sentore dei suoi profumi (Cn 4,16). Ogni anno, lo Spirito di Dio riprende possesso della sua diletta, e le assicura luce e amore; ogni anno, essa attinge un aumento di vita nei materni influssi che la Vergine benedetta riversa su di lei, nei giorni delle sue gioie, dei suoi dolori, e delle sue glorie; infine, le splendenti costellazioni che formano nel loro radioso insieme gli Spiriti dei nove cori e i Santi dei diversi ordini – Apostoli, Martiri, Confessori e Vergini – versano su di essa ogni anno potenti soccorsi e inesprimibili consolazioni.
«Ora, ciò che l’Anno Liturgico opera nella Chiesa in generale, lo ripete nell’anima di ciascun fedele attento a raccogliere il dono di Dio. Quella successione delle stagioni mistiche assicura al Cristiano i mezzi di quella vita soprannaturale senza la quale ogni altra vita non è che una morte più o meno lenta; e vi sono delle anime talmente comprese di questo divino avvicendarsi che si svolge nel Ciclo cattolico, che giungono a risentirne fisicamente le evoluzioni, come se la vita soprannaturale assorbisse l’altra, e il Calendario della Chiesa quello degli astronomi.
«Possano dunque i lettori cattolici di quest’opera guardarsi da quella tiepidezza della fede, da quel sonno dell’amore che hanno fatto quasi scomparire il Ciclo che fu già un tempo, e che deve sempre essere la gioia dei popoli, la luce dei dotti, il libro degli umili!»

Questa pagina – tratta dalla mirabile “Prefazione generale” dell‘ “Année liturgique” che il fondatore e primo Abate di Solesmes, Dom Prosper Guéranger, incominciò a pubblicare nel 1841 e non poté portare a compimento nel corso della sua lunga vita – può offrire preziosi spunti di riflessione nell’odierna ricorrenza della festa di Natale.
Se è vero che la Chiesa ha bisogno continuamente di “rinnovare la sua giovinezza” secondo le occorrenze che, sempre nuove, di volta in volta si affacciano all’orizzonte, ciò appare tanto più urgente nell’attuale drammatica situazione in cui ci apprestiamo quest’anno a celebrare il Natale.
Tra i tanti motivi di preoccupazione e di angoscia che agitano gli animi degli uomini di oggi, ognuno secondo la sua sensibilità, quello che forse in modo più diretto invita a rivolgere lo sguardo con trepidazione al mistero del Natale è l’ombra che, in forme sempre più inquietanti, incombe minacciosa proprio sulla la nascita e l’accoglienza della vita umana, cioè sull’evento da cui, più che da ogni altro, dipende tutta la vita del mondo.
“Natale di sangue” potremmo chiamarlo quest’anno, se pensiamo alla recente legge belga che estende l’eutanasia ai bambini. Ma sappiamo bene quante altre ombre sinistre oscurano il mistero della generazione della vita umana e del destino della vita infantile, dal perdurare dell’aborto di stato in Cina, alle recenti destabilizzazioni della vita familiare e dell’istituto dell’adozione, dalla pratica dell’ “utero in affitto” alle maliponazioni genetiche.
Di fronte a quella sorta di infatuazione generale che sembra travolgere la generazione attuale e portarla a rivendicare, con rabbiosa intolleranza di ogni più ragionevole obiezione, la più assoluta libertà del godimento sessuale e il suo sganciamento da ogni responsabilità verso la generazione della vita, il mistero del Natale viene a ricordarci non solo che l’amore fecondo tra l’uomo e la donna, ponendosi al culmine della creazione, conferisce il suo vero senso a tutto il creato, ma che la generazione della vita umana, avvenendo non in modo meccanico o incosciente, ma bensì attraverso un rapporto di conoscenza e di amore, oltre a riflettere al di sopra di ogni altra realtà creata, la «luce intellettual piena d’amore» della vita trinitaria, fin dall’inizio preparava il mistero dei misteri, che oggi celebriamo: cioè la nascita nella carne umana dello stesso Figlio di Dio.
Il Natale infatti ci fa comprendere che non vi è una sostanziale estraneità tra la vita del mondo, la vita dell’uomo e la vita di Dio, ma che al contrario tra di esse vi è, pur nella distinzione e nell’infinita distanza ontologica, una profonda connaturalità.
L’idea, comunemente diffusa, che il Figlio di Dio avrebbe scelto di farsi uomo semplicemente per portare un rimedio al peccato e, una volta adempiuta questa missione, la sua natura umana non avrebbe più un ruolo determinato, e che da parte sua l’uomo, giunto grazie alla mediazione di Cristo alla visione di Dio, non avrebbe quasi interesse per la propria natura terrena, è assolutamente inadeguata.
Se il Figlio di Dio ha scelto di farsi uomo è perché fin dall’origine tutta la vita del mondo aspirava ad accoglierlo quale suo fine e culmine. Cristo, dice San Paolo, «è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili (…) Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui» (Cl 1, 15-17).
Se tutte le cose sono state create per mezzo di lui e tutte sussistono in lui, ciò significa che la generazione eterna del Verbo di Dio è la fonte e il modello della creazione, e il mondo creato, ascendendo dalla materia inorganica, alla vita organica, alla vita cosciente, diviene sempre più somigliante al modello divino, cosicché la creazione di nuove vite umane non si chiama più creazione, ma procreazione, ovvero generazione, tanto essa assomiglia alla generazione del Figlio di Dio nel seno della Trinità.
Ma la vita creata quanto più rispecchia la vita increata, tanto più aspira ad assimilarsi ad essa, fino ad accoglierla in sé per divenire con essa una cosa sola: «tutte le cose sono state create (…) in vista di lui».
Cosa c’è di più grande, dunque, del mistero della generazione della vita umana? Quale atto dell’uomo più nobile della generazione dell’uomo? Quale onore più grande per la donna di essere fonte della vita? Quale più grande onore per il genere umano di generare, nel mondo creato, lo stesso Figlio di Dio? Quale più alto destino per l’umanità di conferire nella generazione, insieme alla vita terrena, la vita celeste portata da Cristo sulla terra?
Per questo il Nemico del genere umano fin dall’inizio si è manifestato quale nemico della donna, della sua missione di generare la vita e della vita da lei generata:

«Io porrò inimicizia tra te e la donna,
tra la tua stirpe
e la sua stirpe:
questa ti schiaccerà la testa
e tu le insidierai il calcagno» (Gn 3, 15).

Certamente il serpente non poteva tollerare che «la terra desse il suo frutto» (Sl 66, 7) e che così il mondo creato potesse dare perfetta gloria a Dio accogliendo in sé l’infinita vita del suo Figlio eterno.
Per questo la stirpe della donna doveva essere insidiata, e quando una donna, superiore ad ogni altra donna, avrebbe infine dato alla luce il Figlio divino, «destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro (…) il serpente si infuriò contro la donna e se ne andò a far guerra contro il resto della sua discendenza, contro quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù» (Ap 12, 5. 17).
Molti giudicheranno troppo mistica l’idea che, nelle attuali polemiche sulla sessualità, non vi sia semplicemente la contrapposizione tra una vecchia mentalità retriva e il sano desiderio di una ragionevole modernizzazione, ma invece la manifestazione di un conflitto spirituale che coinvolge realtà ultraterrene. Uno sguardo che non si fermi alla superficie delle cose, tuttavia, non potrà non riconoscere che, trattando della generazione della vita umana e di tutto ciò che essa implica, non possimo permetterci di lasciare che il corso delle cose vada avanti irresponsabilmente, poiché qui ci troviamo drammaticamente al centro del destino del mondo e di un disegno divino dalle prospettive infinite.
Dunque, di fronte ai fenomeni inquietanti che agitano in modo febbrile la nostra vecchia civiltà, non possiamo non augurarci che la festa di Natale, come torna anche quest’anno a diffondere la speranza tra gli uomini, così possa veramente rinnovare, con la sua luce, la giovinezza della Chiesa e del mondo facendo sì che sulla truce minaccia di Erode prevalga l’esultante canto degli angeli:

«Gloria a Dio nel più’alto dei cieli
e pace i terra agli uomini che egli ama» (Lc 2, 14).

di Don Massimo Lapponi

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