L’essenziale e l’accessorio nella vita del mondo

Più di un secolo fa Friedrich Wilhelm Förster denunciava il falso orientamento della nostra civiltà, affermando che in tutto l’indirizzo culturale della società moderna, e in particolare nella scuola, si mette al centro dell’attenzione l’accessorio e si trascura ciò che è essenziale. Mentre, infatti, con impegno appassionato, ci si dedica allo sviluppo intellettuale e tecnico, si registra una trascuratezza sempre maggiore nella formazione del cuore dell’uomo, dei suoi sentimenti, delle sue tendenze, delle sue aspirazioni.
Questo fatto – egli afferma – provoca una vera modifica – che oggi noi diremmo “antropologica” – del ruolo dell’intelligenza nella vita umana. Sintomo manifesto di questo falso orientamento è il fatto, fortemente inquietante, che i nostri più prestigiosi centri di studi superiori sono nello stesso tempo i maggiori centri di corruzione della gioventù.
Proprio quest’ultima circostanza può suggerirci un approfondimento e uno sviluppo di ciò che, già a suo tempo, rilevava il Förster.
Ma per prima cosa è necessario esporre più dettagliatamente il suo pensiero.

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«Tu eri in me, ma io ero fuori di me!», è l’invocazione di Sant’Agostino a Dio che a giudizio del Förster esprime perfettamente la situazione dell’uomo moderno.
La cultura di oggi, infatti, rivolge tutta la sua attenzione al mondo esteriore, per conoscere e sottomettere a proprio vantaggio le energie della natura, ovvero si concentra sul solo sviluppo intellettuale, mentre trascura, come cosa secondaria, la formazione interiore dell’uomo – ciò che il Förster chiama “il carattere”. Mentre, in tal modo, aumenta, con rapidità vertiginosa, il potere esteriore dell’uomo, aumentano, in proporzione, anche le eccitazioni e le illusioni di un facile e smisurato appagamento, e, nello stesso tempo, diminuisce con altrettanta rapidità ogni salvaguardia, esteriore o interiore, contro le sempre più forti tentazioni ad ogni più irresponsabile abuso.
E mentre quando scriveva il Förster almeno la Chiesa coltivava, nell’educazione dei giovani e nella prassi dei fedeli, lo spirito di mortificazione, di rinuncia e di distacco dai beni terreni, oggi anche quest’ultima salvaguardia si può dire che sia scomparsa. Né, d’altra parte, la formazione esclusivamente intellettuale, anche nel campo degli studi umanistici, può in alcun modo sostituire l’educazione interiore e la formazione del carattere, che un tempo, con l’indispensabile concorso dell’ascesi religiosa, era coltivata quale principale fondamento di ogni cultura umana.
Specchio di questa situazione culturale e sociale è la scuola moderna, la quale, lasciando da parte come secondaria la formazione interiore, religiosa e morale, dei giovani, si concentra quasi esclusivamente sul loro sviluppo intellettuale, distraendoli, con un impegno rigorosissimo, proprio negli anni più preziosi del loro sviluppo umano, dalla formazione del carattere morale per esigere da loro soltanto una prestazione mentale, che, quale che sia l’ambito in cui venga esercitata, in ogni caso sempre si risolve nel mettere ciò che è secondario al centro e ciò che è essenziale al margine.
Un aspetto da sottolineare è che, quando il Förster denuncia il fatto che i nostri centri di studi superiori, a causa di questa stortura, sono nello stesso tempo anche i maggiori centri di corruzione della gioventù, ovviamente egli intende riferirsi specialmente alla corruzione prodotta dalla irresponsabile condotta sessuale dei nostri studenti.
Già cento anni fa il pericolo appariva ai suoi occhi gravissimo per l’intera società, e tra le sue opere va segnalata un’analisi di ineguagliato valore della tragica situazione della vita sessuale nella società moderna e del crescere esponenziale delle minacce epocali che ne derivano[1].
Per comprendere e valutare convenientemente il ruolo di questo triste fenomeno nella moderna società occidentale, è opportuno rilevare il segreto legame che, a giudizio del Förster, accomuna la tentazione all’abuso nell’ambito sessuale con analoghe tentazioni presenti negli altri ambiti in cui si manifestano le più travolgenti passioni degli uomini.
Egli osserva che dette passioni ci sono svelate, per contrasto, dalle tre rinunce radicali richieste dai voti religiosi nella vita consacrata: povertà, obbedienza e castità. Perché, infatti, la tradizione religiosa ha posto a fondamento di una vita di perfetta santità proprio l’esigenza di queste rinunce? Ovviamente perché le passioni a cui esse si oppongono, se da una parte corrispondono ai doni più preziosi della vita umana, sono però anche quelle che più facilmente travolgono gli uomini nella rovina e nella perdita di ogni umana dignità. Nessuno dubita, infatti, che la disponibilità delle ricchezze della natura e dell’intelligenza, la libera autodeterminazione e l’amore tra i sessi siano nello stesso tempo i maggiori titoli della dignità e della felicità degli uomini e l’occasione per i più gravi abusi e per i più feroci delitti.
Per questo il Förster dà grande rilievo ai voti religiosi e alla loro funzione per il bene dell’intera società. Essi, infatti, solo apparentemente costituiscono una rinuncia e una separazione dalla vita del mondo. In realtà il loro legame con gli ambiti fondamentali dell’esistenza umana non è spezzato, ma trasfigurato, avendo essi la sublime funzione, non di estinguere, ma bensì di purificare le più forti passioni degli uomini.
Come attraverso il voto di povertà si consegue una sovrana libertà dominatrice nei confronti dei beni terreni, così attraverso il voto di obbedienza la volontà si fortifica meravigliosamente nell’autodonazione per il servizio di Dio e per il bene di tutti gli uomini e di tutto il mondo, e attraverso il voto di castità lo slancio dell’amore si eleva al di sopra dei ristretti orizzonti carnali per trovare la sua vera ispirazione in quel mondo della santità divina e umana in cui è la sorgente e la salvaguardia di ogni amore, anche dell’amore erotico e coniugale.
La vita consacrata, dunque, a giudizio del Förster, era destinata, nei tempi di inaudita corruzione che già a suo tempo egli vedeva incombere sul prossimo avvenire della civiltà, ad irradiare la luce della libertà spirituale dal giogo delle passioni mondane sull’intera società
umana.
Queste profonde osservazioni del Förster meritano e sollecitano un approfondimento.

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Partiamo dall’osservazione, già accennata, che, nei centri di studi superiori, la totale trascuratezza della formazione interiore, religiosa e morale, del carattere dei giovani e la concentrazione di tutte le loro forze, in rapida crescita, sull’impegno esclusivamente mentale per l’acquisizione del dominio sulla natura e sulle forze umane, si accompagna con il generale cedimento alle tentazioni sessuali, così facili in agglomerati di giovani di ambo i sessi liberi da vincoli di famiglia e di impegno lavorativo.
Il fatto che la più severa applicazione intellettuale della nostra scuola fallisca nel formare i giovani specialmente, anche se non esclusivamente, su questo punto e il rilievo che ciò avviene perché è stato messo al centro ciò che è secondario e al margine ciò che è sostanziale, suggerisce, senza tema di errore, che il rapporto di amore tra l’uomo e la donna fa parte di ciò che è essenziale nella vita umana e ne costituisce, anzi, l’aspetto fondamentale. Trascurarlo, dunque, e non metterlo al centro dell’educazione dei giovani costituisce una vero suicidio per la civiltà.
È vero, come abbiamo visto, che accanto all’amore tra i sessi vi sono, altrettanto importanti, il possesso e la disponibilità dei beni terreni e la libertà del volere. Ma possiamo configurare una sorta di gerarchia tra questi doni supremi dell’essere umano – e nello stesso tempo sue più tragiche tentazioni – e, in base ad essa, ipotizzare che l’amore tra i sessi costituisca, in un certo senso, la chiave di volta di tutto l’edificio della dignità umana.
A questo punto dobbiamo necessariamente ricorrere alla luce della parola di Dio e alla riflessione teologica.
Nelle prime pagine della Bibbia si legge che l’uomo, creato a immagine di Dio, ricevette il potere di governare, con la sua intelligenza, riflesso del Verbo creatore, tutta la terra. Ma il rapporto dell’uomo con il mondo si esplica, nel racconto biblico, alla luce di una sapiente dialettica.
Rileggiamo le parole del testo sacro, cercando di penetrarne il senso:

«Poi il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”. Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile» (Gn 2, 18-20).

Nel linguaggio biblico l’atto di imporre il nome a qualche cosa indica il dominio che si esercita su di essa. L’uomo, dunque, con la sua intelligenza, diviene, sotto la guida della sapienza divina, sovrano del mondo. E tuttavia non è soddisfatto! Sembra che il Verbo creatore, riflettendosi nel verbo umano e delegando ad esso il dominio del mondo, non riesca a trovare un legame significativo con l’universo creato. Alla luce dei successivi sviluppi, potremmo dire che lo spirito umano cerchi invano di stringere un legame sponsale con il mondo inferiore, e, non riuscendovi, lo senta, in qualche misura, estraneo a se stesso.
In questa situazione il dominio dell’uomo sul mondo da una parte non soddisfa l’uomo, e dall’altra rischia di essere un dominio tirannico, un dominio, cioè, di un estraneo, che non sa amalgamarsi con i suoi sudditi.
Il seguito del testo biblico ci mostra come la sapienza divina ha operato perché questa estraneità tra lo spirito umano – ma possiamo dire, con qualche audacia, anche tra il Verbo creatore, che si riflette nello spirito umano! – e il mondo naturale potesse essere superata.

«Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse:

“Questa volta essa
è carne dalla mia carne
e osso dalle mie ossa.
La si chiamerà donna (Isha)
perché dall’uomo (Ish) è stata tolta”».
(Gn 2, 21-23)

La donna appare sullo sfondo del mondo della natura, ma ha la stessa dignità dell’uomo. Questi le dà un nome – come lo aveva dato agli animali – che è, però, il suo stesso nome!
Così, proprio attraverso l’incontro dell’uomo con la donna e l’amore reciproco che da esso scaturisce, l’estraneità dello spirito umano al mondo viene superata: nella donna l’uomo trova il vero senso dell’universo, che ne aveva preparato la creazione e che si riflette in tutta la sua persona.
Scaturito dall’atto creatore del Verbo divino, come prolungamento, al di fuori dell’essenza divina, della generazione del Figlio dal Padre, il mondo aspira a riprodurre l’immagine della vita divina fino a rispecchiare, se pure in modo imperfetto, nell’amore tra l’uomo e la donna, la beatitudine delle Persone divine nel vincolo di amore dello Spirito Santo. Ma la felicità dell’amore cosciente dell’uomo e della donna non è appagante, poiché essa aspira a rispecchiare l’infinità del Verbo divino generato dal Padre, e perciò si riversa in un susseguirsi di innumerevoli generazioni in cui palpita il desiderio dell’infinito.
Dunque l’amore sponsale, materno e paterno, in cui trova il suo senso la vita dell’universo, è destinato ad estendersi senza confini a tutte le generazioni umane e a coinvolgere tutte le creature, attraverso i più alti titoli di dignità dell’uomo, quelli che, fondandosi nella luce dell’intelligenza, lo rendono riflesso del Verbo creatore: la disponibilità di tutti i beni creati e la libertà del volere.

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Di là da tutti questi sublimi doni – la ricchezza immensa del creato, l’intelligenza dominatrice, il reciproco amore che lo unisce alla donna – l’uomo era chiamato a riconoscere la divina fonte da cui essi provenivano e a sottomettersi ad essa.
Ma quando, con il peccato, l’uomo ha voluto essere «come Dio, conoscendo il bene e il male» (Gn 3, 5), e cioè indipendente da Dio e padrone assoluto del proprio destino nello stabilire ciò che è bene e ciò che è male, la comunicazione tra i sublimi doni creati e la fonte divina da cui essi provengono si è interrotta e l’uomo e la donna sono piombati in una tragica oscurità.
La prima conseguenza di ciò è che la donna non appare più come il coronamento dei doni di Dio, il senso ultimo di tutto il creato e della vita umana, il miracolo che permette allo spirito umano di stabilire un patto nuziale con tutto il mondo della natura. Tra l’uomo e la donna, infatti, si crea un rapporto conflittuale, fondato sul dominio da parte dell’uomo, fisicamente più forte, e il risentimento vendicativo da parte della donna.
In questa situazione l’uomo regredisce: il suo rapporto con il mondo non è più mediato dall’unione sponsale con la donna, ma ritorna ad avere i caratteri dell’estraneità e del dispotismo. Ovviamente l’unione sponsale con la donna non scompare, ma i suoi caratteri sono indeboliti, tanto che essa non riesce più ad illuminare l’opera dello spirito umano nel mondo. L’uomo vuole dominare il mondo, e sente questo come il suo compito essenziale, mentre relega la donna in una sfera privata, che non influisce in modo determinante sulla sua opera di conquistatore.
Ma la donna intuisce che tra tutti i beni creati visibili nessuno può competere con lei nell’attrattiva sensibile che esercita sull’uomo. Così, forte di questa sua superiorità psicologica, cerca di ribaltare la sua condizione di sottomissione all’uomo e di sottometterlo a sua volta alla sua volontà.
Ecco, dunque, l’origine delle fortissime tentazioni, che l’uomo e la donna sperimentano, all’abuso sfrenato dei beni più alti che hanno ricevuti da Dio: a causa del peccato, che oscura, nella coscienza dell’uomo, la luce divina presente alla fonte stessa dei suoi doni, l’intelligenza, non più guidata dall’amore reciproco tra l’uomo, la donna e la loro discendenza, tende ad esercitare un dominio irriguardoso di ogni legge sui beni creati, usando della sua libertà per esaltarsi senza alcun limite. Così la disponibilità dei beni diventa tentazione all’avidità aggressiva, la libertà diventa tentazione all’orgoglio smisurato, l’attrattiva dell’amore diventa tentazione alla sensualità senza limiti, fino alla più degradante depravazione.
Due citazioni bibliche indicano, con ispirata lucidità, come, all’origine di tutti i mali del mondo, vi sia la forza travolgente di queste tentazioni, e, nello stesso tempo, suggeriscono il rimedio contro di esse, costituito dalla mortificazione delle passioni umane e dal ritorno a Dio.

«Fratelli miei, da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni. Gente infedele! Non sapete che l’amore per il mondo è nemico di Dio?
Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio. O forse pensate che invano la Scrittura dichiari: “Fino alla gelosia ci ama lo Spirito, che egli ha fatto abitare in noi”? Anzi, ci concede la grazia più grande; per questo dice: Dio resiste ai superbi, agli umili invece dà la sua grazia.
«Sottomettetevi dunque a Dio; resistete al diavolo, ed egli fuggirà lontano da voi. Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi. Peccatori, purificate le vostre mani; uomini dall’animo indeciso, santificate i vostri cuori. Riconoscete la vostra miseria, fate lutto e piangete; le vostre risa si cambino in lutto e la vostra allegria in tristezza. Umiliatevi davanti al Signore ed egli vi esalterà».

(Gc 4, 1-10)

«Uomini e animali, grandi e piccoli, non gustino nulla, non pascolino, non bevano acqua. Uomini e bestie si coprano di sacco e si invochi Dio con tutte le forze; ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani».
(Gion 3, 7-8)

Da quanto si è detto risulta, però, che vi è una gerarchia nelle tentazioni fondamentali dell’uomo e che in essa il primo posto spetta al suo rapporto con la donna – e non è un caso che, nella Genesi, il peccato si consumi a partire dalla donna, la quale rinuncia al suo ruolo di senso ultimo del mondo nella luce di Dio. Tolto, infatti, come si è detto, il rapporto sponsale dello spirito umano – riflesso del Verbo divino – tramite la donna, con il mondo della natura, si ristabilisce l’estraneità dell’uomo e della sua intelligenza nei confronti del mondo da lui dominato, e degli stessi altri uomini che vengono, in qualche modo, a farne parte. Da qui un’intelligenza rivolta ad appropriarsi dei beni terreni e di tutte le sue energie e potenzialità, non per progetti di amore, ma per progetti di potenza e di orgoglio smisurato.
Quale sarà, dunque, la via per ristabilire l’armonia nella vita dell’uomo e del mondo, se non il ristabilimento dell’armonia nell’amore tra l’uomo e le donna e la sua centralità nella vita del mondo? È chiaro, dunque, che la redenzione di questo rapporto costituirà l’interesse primario dell’uomo, il nucleo stesso e la parte essenziale della sua vita, dalla quale dipenderà anche la vittoria contro le altre sue fondamentali tentazioni.

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L’uomo, come abbiamo visto, a causa delle sue passioni, è sempre tentato di porre l’accessorio al centro della sua attenzione e l’essenziale al margine. Vi è una celebre pagina del Vangelo, in cui Gesù lo richiama, dalla dispersione nelle opere esteriori, all’unica cosa necessaria.

«Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: “Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Ma Gesù le rispose: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta”».

(Lc 10, 28-42)

Non è affatto casuale che la protagonista di questa pagina sia una donna. Come la prima donna aveva chiuso il suo cuore alla parola di Dio per ascoltare le parole lusinghiere del serpente, così ora, per contrasto, Maria di Betania chiude il cuore alle parole lusinghiere di chi vorrebbe distoglierla dall’essenziale per rivolgerla all’accessorio e apre totalmente il suo animo al Maestro divino, venuto a ristabilire l’armonia nel mondo. In questa sua conversione alla voce di Dio, Maria di Betania è la rappresentante della rinnovata dignità di ogni donna. È attraverso la donna rigenerata, infatti, che Gesù richiama l’uomo alla sua vocazione all’amore, come, per contrasto, attraverso la donna sedotta dal serpente l’uomo se ne era allontanato.
Quest’ultima affermazione potrebbe sembrare troppo audace. Vediamo, dunque, di spiegarla meglio.
Il fatto che il Maestro Divino abbia assunto la natura umana esclusivamente da una donna è un meraviglioso mistero, che merita di essere approfondito.
Nascendo nel mondo per mezzo di Maria, ad opera dello Spirito Santo, Gesù ha compiuto – possiamo dire – quell’unione sponsale del Verbo divino con il mondo della natura che lo spirito umano, ad essa delegato, non aveva saputo realizzare. Ed è assolutamente fondamentale sottolineare che in questa unione sponsale i due contraenti siano il Verbo divino che si fa uomo (vir) e una donna che, assumendo in sé il senso di tutta la natura creata, dona a lui la sua umanità. Così, attraverso il Verbo fatto uomo (vir), lo stesso spirito umano (virile) si riconcilia con la donna e, attraverso di lei, con tutto il mondo della natura, non più visto come teatro del proprio orgoglioso possesso, ma come luogo di incontro della famiglia umana riunita nell’amore.
In Cristo, infatti, ogni uomo ritrova la sua vera dignità e la sua vera missione: quella di mettere al servizio dell’amore e della vita i doni sublimi dell’intelligenza, del dominio del mondo e della libertà. Nello stesso tempo in Maria ogni donna ritrova la sua dignità di nobilitazione suprema di tutta la natura creata, di rivelazione all’uomo della sua vera vocazione, di tramite, insieme all’uomo, dell’unione sponsale del Verbo divino con il mondo e della manifestazione dell’infinità della generazione del Verbo attraverso l’intero corso delle generazioni umane.
Tutto il Vangelo è una proclamazione del nuovo corso che deve seguire il mondo:
«Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28, 19-20).
Contro questa nuova strada insorgono, con rinnovata aggressività, le antiche tentazioni. Come Cristo fu da esse tentato nel deserto, così da esse è nuovamente tentato l’uomo ad ogni generazione. Ma sarà sempre la forza invincibile della croce di Cristo a mostrare la via della vittoria contro le tentazioni infernali: il sacrificio supremo dell’orgoglio umano e la crocifissione delle sue passioni in vista della vera felicità e del vero appagamento dell’uomo.
Cristo – dice la Sacra Scrittura – «in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l’ignominia» (Eb 12, 2). Qual era la «gioia» a cui egli aspirava? Essere «assiso alla destra del trono di Dio» (Ibid.), certamente. Ma esservi assiso non solo come Figlio eterno del Padre, ma anche come uomo, cioè come nuovo Adamo, origine di una nuova umanità, in cui tutti i suoi discendenti non saranno più chiusi nelle loro passioni orgogliose, ma, avendole crocifisse insieme a lui nel sacrificio supremo, saranno, invece, aperti alla comunione di amore con il Padre e tra di loro attraverso la conseguita purificazione ed esaltazione del vincolo sponsale, paterno, materno, filiale e fraterno esteso, in Cristo, a tutto il genere umano.
Alla realizzazione di questa nuova umanità darà il suo indispensabile contributo la nuova Eva, «Madre di tutti i viventi» (Gn 3, 20), nata sulla croce dal costato di Cristo: Maria, e con lei ogni donna, che in modo eminente rappresenta la Chiesa, nella quale la natura, con tutti i suoi doni, si eleva fino a rendersi consorte del Verbo divino. E nella Chiesa, come ogni donna rappresenta Maria, così ogni uomo rappresenta Cristo, lo Sposo divino, che ogni prerogativa dell’umana dignità pone al servizio della vita generata dall’amore.

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Se, da questa prospettiva biblica, torniamo a considerare la critica del Förster ai nostri studi superiori, che si concentrano, come Marta, sull’accessorio e trascurano l’essenziale, vediamo che la vera vocazione dell’uomo non è quella di dominare il mondo con la sua intelligenza per affermare orgogliosamente la propria superiorità, e con essa il proprio interesse materiale, ma quella di purificare se stesso per rendersi degno di una vera unione sponsale, attraverso la quale egli possa diffondere nel mondo il regno dell’amore e della pace, riflesso della beatitudine divina.
Ma se la scuola degli uomini va fuori strada e tralascia l’essenziale per l’accessorio, se, conseguentemente, gli uomini, nell’esercizio delle loro professioni, si concentrano sull’accessorio, chi si occuperà dell’essenziale?
Un tempo la maggior parte delle donne, emule di Maria di Betania, richiamavano gli uomini alla loro vera missione. Oggi sembra che molte di loro vi abbiano rinunciato. Tuttavia nel cuore della donna ci sarà sempre la segreta aspirazione a realizzare un destino diverso, insieme all’uomo, per la vita del mondo.
Se, però, la donna ha, per questa sua aspirazione e vocazione, un ruolo speciale nella Chiesa, se, anzi, ne esprime in modo eminente la natura materna, appassionatamente dedita all’amore per tutti i suoi figli, vi sono degli uomini che hanno per vocazione il compito di mettere l’essenziale al primo posto e di richiamare gli altri uomini a realizzare, come rappresentanti di Cristo, quell’unione sponsale dello spirito umano e del Verbo divino con il mondo creato che ogni uomo dovrebbe considerare quale suo compito precipuo.
Questi uomini sono da una parte i sacerdoti, chiamati ad amministrare i misteri della vita di Cristo nel mondo, e dall’altra i religiosi consacrati a Dio, i quali, in un rapporto di complementarità con le religiose consacrate, attraverso la pratica dei voti evangelici, contrastano, come Cristo nel Deserto, le tentazioni infernali delle passioni umane a beneficio di tutti gli uomini e mostrano, con le loro opere, come i doni divini di Cristo, trasmessi a tutti gli uomini dal sacerdozio, possano realizzare, nella vita del mondo, il fine di tutta la creazione: di manifestare compiutamente, a gloria di Dio Padre, il Verbo divino attraverso tutte le generazioni umane, irradiate dall’amore dello Spirito Santo.

[1] F.W. Förster, Etica e pedagogi della vita sessuale [trad. Dal tedesco], Torino, 1911; edizione inglese disponibile online: https://archive.org/stream/marriagesexprobl00foerrich#page/n5/mode/2up

di Don Massimo Lapponi